Che da fine ottobre 2023, relativamente ai mercati finanziari, con particolare riguardo a quello obbligazionario, sia cambiato il “paradigma” è cosa nota: le prospettive legate al ridimensionamento dell’inflazione, con il conseguente previsto allentamento del rigore monetario, ha dato nuovo slancio alle quotazioni di qualsiasi asset (fatta eccezione per i prodotti energetici, aspetto peraltro positivo in considerazione dell’impatto sui prezzi).
Con riferimento al comparto obbligazionario, da quel momento abbiamo assistito a 2 fenomeni che molto dicono su quali siano le attese degli investitori.
Il primo, non isolato, visto il forte rialzo delle quotazioni azionarie, riguarda il corso dei titoli. I prezzi di moltissimi titoli, soprattutto quelli con scadenze più lunghe, infatti, sono saliti prepotentemente, spesso indipendentemente dal loro rating (elemento essenziale nella valutazione), con rialzi che, in 2 mesi, hanno raggiunto anche il 10%. Fattore che ha fatto scendere velocemente i rendimenti (di norma una variazione di circa il 7% del prezzo comporta un “aggiustamento” del rendimento intorno all’1%): il nostro BTP decennale, per es, dal 5% in cui si è venuto a trovare nell’ultima decade di ottobre, è sceso, verso fine dicembre, al 3,50% circa, per poi risalire verso il 3,80/3,85%. Andamento analogo per il Bund tedesco (“il più” AAA che esista, contro il nostro BB), passato dal 3% all’1,91% e ora tornato al 2,30%.
Mentre, fortunatamente, si è fermata la rapida discesa dei rendimenti (il rischio era che venisse rappresentata una realtà “falsificata”, con conseguenze probabilmente piuttosto gravi per l’economia e anche per i mercati), in queste prime 3 settimane dell’anno abbiamo assistito ad una vera e propria “esplosione” delle emissioni. Già si è detto, una decina di giorni fa, dell’enorme richiesta che il nostro Tesoro si è trovato a gestire a fronte di 2 emissioni di BTP, una a 7 anni, l’altra a 30, per un totale di € 15 MD, erano arrivate richieste per oltre 155 MD. Un caso, peraltro, non isolato, visto che anche altri Paesi (Belgio, Gran Bretagna) si erano trovati in situazioni analoghe. Un trend che pare non destinato a fermarsi.
Ieri, infatti, la Commissione Europea, con l’obiettivo di finanziare il Piano Next Generation EU (aspetto che assume, evidentemente, anche una forte valenza politica, visto che, in casi come questo, si può tranquillamente parlare di “debito comune”), ha emesso € 8 MD di titoli, anche questi con scadenza a 7 e 30 anni: le richieste sono state € 180 MD, 23 volte tanto, con rendimenti del 2,781% per la durata 7 anni e 3,678% per quella a 30.
Qualcosa di simile sta accadendo anche dall’altra parte dell’oceano: si calcola che, solo nel corrente mese di gennaio, le emissioni corporate (e quindi escludendo le emissioni statali) investment grade (quelle, quindi, da parte delle società più solide) ormai abbiano raggiunto i $ 150 MD, il livello più alto dal 1990. E le previsioni sono che, durante l’anno, quelle high yeld (quelle, al contrario, emesse da società il cui rating non è così brillante) possano addirittura superare le prime.
Ma se le previsioni (per non dire quasi certezze) sono che i tassi scendano, perché questa corsa all’emissioni da parte di tutti, Governi, Enti Sovranazionali, Società? Non converrebbe attendere, aspettando il momento in cui i tassi sono ad un livello ancora più basso rispetto all’attuale?
Due sono gli aspetti che influenzano maggiormente la voglia di “andare sul mercato”, tra loro diversi, ma che si intrecciano.
Il primo è legato alla scomparsa degli acquisti da parte delle Banche Centrali, che fino all’anno scorso avevano fortemente sostenuto il mercato. Il QE (Quantitative Easing) ha lasciato il posto al suo opposto (QT, Quantitative Tightening) , cioè alla “riduzione” del bilancio delle Banche centrali (sostanzialmente l’alleggerimento dello stock di titoli in precedenza accumulati). Sul mercato si trova attualmente ancora moltissima liquidità: si vuole, quindi, approfittare di un’opportunità che tra qualche mese potrebbe non essere più possibile perseguire.
L’altro aspetto è più direttamente collegato ai rendimenti che il mercato oggi è in grado di offrire: visto l’orientamento, ormai certo, che va verso la riduzione dei tassi, il timore è che vi possa essere una caduta dei rendimenti piuttosto rapida. Questo potrebbe significare che tra pochi mesi i rendimenti attuali siano impossibili da replicare, con il rischio di trovarsi con una liquidità importante non in grado di essere adeguatamente remunerata. Liquidità attualmente parcheggiata anche in fondi cash o monetari (si pensa circa $ 5.300 MD). Con emissioni, quindi, molto meno attraenti, che avrebbe difficoltà ad essere collocate. Per tornare ad esserlo, ovviamente, le armi a disposizioni non sono molte. Anzi, probabilmente ne esiste 1: la leva del rendimento, che costringerebbe ad emissioni comunque con uno spread maggiore. Meglio, pertanto, “fare il pieno” ora, potendo giocare su durata e, ancor di più, su “dimensioni” delle emissioni, in molti casi “large” (non di rado superiori al miliardo).
Chiusure “divaricate” ieri sera a Wall Street. Se il Dow Jones ha “limato” di un marginale 0,25%, il Nasdaq ha rireso il suo ritmo, chiudendo a + 0,43%.
Giornata positiva per gli indici Great China, sulle notizie relative alla creazione, da parte delle autorità di Pechino, di un fondo (della dotazione di quasi $ 300 MD), di un fondo pubblico per dare stabilità ai mercati finanziari dell’area. Ad Hong Kong l’Hang Seng sale di oltre il 2%, mentre Shanghai si trova, al momento, intorno al + 1,80%.
Debole Tokyo, dove il Nikkei arretra dello 0,80%.
In assestamento anche Seul, con il Kospi a – 0,4%, mentre in India il Sensex sale dello 0,6%.
Futures ben intonati sulle due sponde dell’oceano.
Petrolio che non da segnali di particolare dinamismo, con il WTI a $ 74,72 (+ 0,38%).
In ripresa il gas naturale Usa, che torna a “rivedere” i $ 2.5 (2,506, + 2,04%).
Giorni di quiete per l’oro, sempre in area $ 2.030 (+ 0,11%).
Spread in leggero rialzo (154,4 bp), con il BTP a 3,89%.
Bund 2,34%
Treasury a 4,11%, in attesa dei risultati delle Primarie Repubblicane nel New Hempshire, dove l’aspetto che forse maggiormente interessa gli osservatori politici non è tanto la vittoria o meno di Trump (che appare scontata), quanto il divario dall’unica rivale rimasta, Nikki Haley (mentre secondo il New York Post tra i democratici potrebbe farsi largo la candidatura di Michelle Hobama al posto di Joe Biden, da molti considerato non in grado di reggere la “forza d’urto” dell’ex Presidente repubblicano).
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Grazie, come sempre, per l’attenzione.
Ps: dopo il calcio, l’NBA, il Football americano (NFL), ora è la volta del Wrestling. Netflix, infatti, ha appena siglato un accordo del valore di $ 5 MD, della durata di 10 anni (per $ 500 ML annui) per trasmettere gli incontri dei maggiori appuntamenti del circuito World Wrestling Entertainement. Rimane da definire sino a che punto si parli di sport o di esibizione. Anche il denaro non sempre riesce nell’impresa.